D’accordo andiamo; la zona è stata studiata a fondo e il primo caldo di Maggio si fa sentire anche se siamo in Appennino, forse perché non ancora acclimatati dopo i freddi invernali. Un sibilo improvviso rompe la piacevole monotonia del gracidare delle rane verdi (Pelophylax sp.), mi volto di scatto per capire cosa stia succedendo tra la vegetazione ai bordi dello stagno e scorgo una sagoma agitarsi in modo frenetico. Mi avvicino, molto lentamente, mentre l’azione sembra aumentare di vigore e mi accorgo di avere davanti una Natrice del collare (Natrix natrix), rettile ampiamente diffuso in Italia negli ambienti acquatici, che poco prima avevo notato scorrazzare sul pelo dell’acqua.
Ma non è sola; un paio di zampe d’anfibio spuntano ai lati della testa della Natrice ma ancora troppa vegetazione mi ostacola una visione dettagliata; mentre cerco un punto d’osservazione migliore, il serpente sembra placare la sua foga, alza il capo quasi con orgoglio e strisciando a pochi passi da me si nasconde chissà dove; sono solo alcuni secondi.
Il ristorante ha aperto per pranzo e il piatto forte del menù è una rana verde (Pelophylax sp.) che la Natrice ha pensato bene di portare con sé, ghiotta di anfibi com’è.
Scene come questa ci ricordano, semmai ce ne fosse bisogno, quali siano le leggi di natura, che sovrastano il sentimentalismo generato da un attacco di un predatore sulla preda e come la vita e la morte si intersechino in ogni momento in uno stesso habitat.
Ah, dimenticavo: un filo di verdura esce dalla bocca del serpente; probabilmente una rana si accompagna bene con un contorno di verdure.
Realizzare una foto del genere del genere implica la massima attenzione da parte del fotografo; avvicinarsi troppo o effettuare movimenti bruschi potrebbe causare la fuga del serpente con l’abbandono della preda ormai ferita; le conseguenze biologiche sarebbero importanti: la preda, ferita, potrebbe non sopravvivere mentre il serpente, dopo aver consumato energie nella cattura, dovrebbe di nuovo mettersi in caccia, probabilmente indebolito dalla stanchezza accumulata, esponendosi al rischio di essere predato a sua volta.
© Tutti i diritti riservati – Stefano Properzi
Lo studio e il lavoro applicato delle Scienze Naturali abbraccia in toto la molteplicità biologica e inorganica del nostro Pianeta, fornendo gli elementi essenziali per la comprensione dei meccanismi ecologici e geologici, assolutamente interconnessi, che sono alla base delle manifestazioni naturali che osserviamo e delle quali facciamo parte ricoprendo un ruolo di primo piano. Non è una novità che il Pianeta Blu si trovi sotto pressione negli ultimi secoli, per via dell’impronta ecologica pesantemente calcata da un essere vivente che, per quanto brillantemente raziocinante, attua ed ha attuato azioni profondamente deleterie sulla pellicola terrestre. In questo difficile contesto, le Scienze Naturali occupano un ruolo di importanza cruciale per arginare la pericolosa esondazione culturale in atto da decenni che rischia di condurre verso l’asfissia il patrimonio naturale del nostro mondo, spezzando in modo permanente i già delicati equilibri che lo caratterizzano. Educare è un compito imprescindibile del Naturalista, ma educare a cosa? Non basta far amare un buffo animale o una coloratissima pianta affinchè venga compresa l’importanza di tutti i protagonisti sulla scena per ambire ad una soddisfacente conservazione dell’ambiente ma è necessario educare al rispetto dell’Uomo. Perché si raggiungano obiettivi concreti, è necessario che Esso limiti il suo egoismo, in quanto conservare la Natura significa rispettare in primo luogo la specie umana ed impegnarsi nel raggiungimento di obiettivi che non aumentano l’ego personale, ma aiutano altri simili e soprattutto le generazioni a venire, a beneficiare dei nostri stessi diritti e piaceri. Educare alla Natura è anche Filantropia.
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